mercoledì 27 gennaio 2010

Pd: un partito in confusione. E neanche Prodi crede più in Bersani.

image Il Professore si chiede chi comanda nel Pd. Ora Prodi si occupa della sua cattedra universitaria, e sembra non volere più intervenire personalmente alle sorti del partito che contribuì a fondare, né a quelle della sua cara Bologna.

Che suona un po’ come “e una, e due… ma stavolta so’ ca**i vostri”.

Intanto mentre si avvicina il giorno del giudizio delle amministrative il Pd dà il peggio di sé mostrando confusione, debolezza della leadership e opportunismo nelle alleanze.

Per evitare ulteriori figuracce il Pd dovrebbe inoltre risolvere la questione delle primarie, che da strumento democratico quale dovevano essere, si stanno concretizzando in un ipocrita tentativo di esercizio del decisionismo partitico.

Tentativo peraltro fallito miseramente in diverse situazioni. A cominciare dal caso dell’attuale sindaco di Firenze Matteo Renzi che vinse da outsider le primarie per la candidatura a primo cittadino, fino a quello di Niki Vendola che ha sbaragliato l’avversario inviato dagli uomini della nomenklatura dalemiana che speravano in un accordo Pd-Udc per le regionali pugliesi.

Da qualunque punto di vista si osservi la situazione, è sempre più evidente che il Pd ha perso il contatto con l’elettorato: vuoi perché non riesce a comprendere quale sia il candidato che gode del consenso popolare, vuoi perché non è in grado di convincere il suo elettorato a votare il candidato scelto dai vertici.

E forse nelle stanze romane del Partito Democratico qualcuno sta maledicendo le primarie e rimpiange i tempi del Comitato Centrale.

giovedì 14 gennaio 2010

Troppa tolleranza / 2

image E’ passato qualche giorno dai fatti di Rosarno, ma ancora non si riesce ad avere un’idea chiara di come sono andate le cose.

A complicare la situazione si aggiunge il fatto che nelle  ricostruzioni “politiche” prevale spesso un modello ideologico e strumentale nell’individuare dinamiche e responsabilità.

Provo a schematizzare le varie posizioni emerse, nessuna delle quali, ovviamente, è omnicomprensiva.

1 E’ COLPA DEL RAZZISMO. I calabresi e i rosarnesi odiano i neri, li sfruttano e quando si ribellano (magari perché qualcuno li spara con una carabina) li sprangano e li prendono a fucilate.

2 -  NON E’ COLPA DEL RAZZISMO, MA DELLA TROPPA TOLLERANZA. Le istituzioni e i cittadini sono stati troppo tolleranti riguardo agli immigrati, che andrebbero rispediti al loro paese a calci in culo. Altrimenti visto che succede? Quindi ci vuole più durezza.

3ALLA NDRANGHETA I NERI NON SERVONO PIU’, E LI HA CACCIATI. La malavita calabrese ha fatto arrivare migliaia di immigrati a Rosarno negli anni in cui serviva manodopera a bassissimo costo. Ora che non servono più (per diversi motivi), la ndrangheta ha trovato il modo per cacciarli, innescando la rivolta.

La ricostruzione appena riportata viene spesso integrata con le seguenti ipotesi:

3 bisLA NDRANGHETA HA VOLUTO DARE UN SEGNALE ALLO STATO E ALLA MAGISTRATURA.

3 ter - LA NDRANGHETA HA VOLUTO SPOSTARE L’ATTENZIONE DAI FATTI DELLA BOMBA DI REGGIO CALABRIA SULLA VICENDA DI ROSARNO.

Prima di concludere vi segnalo un video che mi ha molto colpito.

Durante la manifestazione dei rosarnesi dopo le violenze dei giorni precedenti, organizzata per respingere l'immagine di paese xenofobo che i media avrebbero attribuito a Rosarno, alcuni ragazzi di un istituto superiore della città hanno esposto uno striscione con scritto “Speriamo di poter dire un giorno C'era una volta la mafia”.

Ma non appena lo striscione viene mostrato, una parte dei manifestanti invita i ragazzi a richiuderlo. Il video (cliccare qui per aprire la pagina), realizzato da Rainews24, è a mio avviso molto rappresentativo del clima che si vive da quelle parti.

 

venerdì 8 gennaio 2010

Troppa tolleranza.

italia-rosarno-sono-razzism

Gli immigrati africani di Rosarno si sono incazzati e hanno messo sottosopra la città.

Il Ministro Maroni, da responsabile e sottile uomo delle istituzioni qual è, ha partorito la sua analisi: quello che è successo a Rosarno è colpa della troppa tolleranza nei confronti degli immigrati.

Tralascio per ora i commenti alla scandalosa affermazione del Ministro, totalmente irresponsabili, specie sul piano dell’ordine pubblico.

Mi chiedo solo una cosa: come mai a Maroni non è venuto mai in mente di additare, giusto per dirne una, la troppa tolleranza nei confronti degli imprenditori che sfruttano la manodopera di disperati a 50 centesimi l’ora?

Se tutti quei ragazzi africani si trovano lì, significa una cosa: lavoro nei campi ce n’è. E se lo Stato, il Governo, il Ministro, fossero stati meno tolleranti nei confronti dell’illegalità, che specie nelle regioni del Sud non è riconducibile solo agli immigrati, magari quei ragazzi non vivrebbero rabbiosi e ammassati tra le rovine di fabbriche dismesse.

Magari starebbero in case “normali”, senza covare tutto il rancore e la violenza animale che chiunque proverebbe costretto a vivere come una bestia.

Magari ora non sarebbero in strada a colpire quello che capita a tiro, abitanti di Rosarno compresi, diventando facile obiettivo di rappresaglia.

martedì 5 gennaio 2010

Botti di inizio anno a Reggio Calabria.

image I boss della ‘ndrangheta sono nervosi.

I PROCESSI CONTRO LE COSCHE- La procura generale di Reggio Calabria guidata da Salvatore Di Landro a breve si occuperà di alcuni processi d’appello scottanti: omicidio Fortugno, strage di Duisburg e infiltrazioni mafiose negli appalti per l’autostrada Salerno Reggio. Processi che in primo grado si sono conclusi con numerosi ergastoli e condanne pesantissime per gli uomini delle ndrine calabresi.

LA REAZIONE DELLE NDRINE - La bomba fatta esplodere al palazzo della Procura Generale di Reggio Calabria è un segnale di minaccia, ma che denota anche timore e nervosismo da parte delle cosche.

Per Gasparri l’attentato di Reggio Calabria rappresenta “la conferma che le cosche non sopportano la NOSTRA azione di contrasto alla criminalità”.

Ma purtroppo il teorema non regge.

Quasi banale ricordare che le operazioni contro la ‘ndrangheta sono state condotte dai magistrati e dalle forze dell’ordine. Non dal governo.

Anzi c’è chi, come il Pm di Palermo Antonino Di Matteo, fa notare che «i provvedimenti governativi, alcuni già approvati e altri in discussione, potrebbero favorire il ricompattamento di Cosa nostra»

Il riferimento più evidente è allo scudo fiscale e al disegno di legge per limitare le intercettazioni.

Potete leggere l’intervista completa al magistrato palermitano sul sito di Terra.